Non è la prima volta che la madre, o il padre, di un bimbo disabile, principalmente autistico, uccidono la propria creatura, o tentano di farlo, in un parossismo di furia e disperazione. I commenti che leggiamo sui giornali sono sempre gli stessi, spesso improntati all’incredulità perché quella madre o quel padre avevano sempre trattato con straordinario amore e infinita devozione il loro bambino. Nel recente caso di Città di Castello, vicino a Perugia, l’insano gesto viene giustificato con la profondissima depressione della madre, una follia scatenata, magari, da un gesto del figlio, “un rifiuto, una bizza”, scrive il giornale.
Per noi, genitori di ragazzi autistici, purtroppo, queste tragedie non sono sorprendenti o incredibili: avvertiamo con agghiacciante lucidità che potrebbe capitare anche a noi e non per un’improvvisa pazzia, ma per uno scatenarsi simultaneo dell’amore e della consapevolezza che, nella quotidianità, cerchiamo di tenere ben separati.
Lo sappiamo perché ci abbiamo pensato mille volte durante l’acuta vigilanza con cui spiamo la vita dei nostri figli (di alto o basso funzionamento che siano) quando un gesto, un suono, una luce o una parola straziano il loro animo scatenando un’incomprensibile dolore, talvolta rabbioso, acutissimo e illogico. E noi, che sentiamo questo dolore, a ricucire una sorta di normalità perché ritorni il sorriso, perché riaffiori in loro un nuovo interesse capace di sgombrare le nubi.
Lo sappiamo quando non riusciamo a strapparli dalla noia e giriamo con loro alla ricerca di persone, cose, eventi, e inventiamo mansioni, incombenze, universi, paradossi che suscitino la scintilla e “riattivino” i nostri figli.
Lo sappiamo quando ci tiranneggiano e ci maltrattano senza motivo, semplicemente perché i loro sensi li hanno traditi e noi siamo la mediazione con quella realtà in cui li abbiamo inseriti – spesso con grande successo – ma in cui sono in agguato delusioni e frustrazioni, il passaggio di una nube, un battito d’ali. Quando loro stessi sembrano incapaci di sfuggire al dolore.
E allora ci chiediamo chi mai potrà avere quell’infinita pazienza, quella dedizione assoluta capace di regalare scampoli di serenità a questi nostri figli tanto indifesi, indifesi persino da chi vorrebbe amarli, difenderli, accudirli. Ecco, è questa la consapevolezza atroce che ci accompagna. Non basteranno neppure, se mai ci saranno, le strutture per il “dopo di noi”, perché, ci chiediamo, “senza di noi” avranno ancora una vita?
Eppure a questa consapevolezza, talvolta, si accompagna una logica di buon senso: se già ora potessimo accompagnarli in un percorso di crescita, per dar loro cose da fare, gente da incontrare, luoghi da amare, qualcosa che rimanga anche “dopo di noi”? Insomma un ambiente protetto, più grande della famiglia? È evidente che la strada è questa, del resto è quello che spesso le famiglie cercano di fare costruendo un mondo di persone, di amici, attorno al loro ragazzo. Ma proprio le difficoltà e le delusioni che quest’operazione talvolta comporta sono portatrici di nuova disperazione.
Per questo sono indispensabili strutture, progetti, specialisti che ci sostengano in questo cammino di affrancamento, quello di costruire un modello di vita che dia ai nostri ragazzi la possibilità di esistere dignitosamente anche senza di noi. Ed è doloroso constatare che quasi tutto quello che era stato messo in atto in questo senso viene di giorno in giorno smantellato da tagli e “razionalizzazioni”.
Il senso di solitudine, impotenza e frustrazione, allora, diventa insopportabile. E con il nodo alla gola guardiamo questo nostro figlio che fa progetti fantasmagorici, coltiva amicizie vere o immaginarie e programma la sua vita con determinazione… e noi sappiamo che basterebbe niente, una parola o un bagliore, per lasciarlo in un doloroso niente.
Claudio Bo

Aggiungo un’altra testimonianza.

sono il padre di un bambino autistico di 11 anni , proprio come la povera vittima di oggi . Tu dai giudizi perchè non sai cos’è l’autismo . tu non hai figli autistici che nel periodo preadolescenziali magari ti picchiano continuamente perchè hanno il mal di pancia e non sanno dirtelo , che devi tenere sempre per mano per paura che ti scappino in mezzo alla strada gridando perchè una sirena li infastidisce .tu non hai un figlio da tenere per mano tutta la vita 7 gg su 7 e 24 h su 24 perchè non si faccia del male o ne faccia . se lo avessi , capiresti che la depressione è proprio li dietro l’angolo pronta a farti esplodere in gesti inconsulti verso la persona che ami di più , quella che terrai per mano tutta la vita e putroppo la tua vita non basta perchè hai sempre il pensiero di cosa sarà di lui quando tu sarai morto. ecco pensaci , ma non con il distacco di chi dice ” tanto a me non succede ” fallo una volta immedesimandoti con chi il problema lo vive tutti i giorni , grazie

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