Alle recenti elezioni amministrative ha fatto discutere la candidatura (nelle liste di Marino a sindaco di Roma) di una giovane ragazza autistica: Chiara Ferraro che, poi, non è stata eletta. Secondo i giornali la giovane avrebbe una forma di disabilità grave: “non parla quasi mai, al massimo canticchia versi di Domenico Modugno e Rino Gaetano. Almeno una volta a settimana ha crisi epilettiche che possono essere causate anche da rumori forti e improvvisi, o dalle grida di un dibattito acceso, ad esempio”. Chiara, se fosse stata eletta, avrebbe dovuto essere sempre accompagnata dal padre, Maurizio Ferraro, 61 anni, che spiega così la controversa scelta di candidare Chiara: “Si deve avere il coraggio di mostrare l’esclusione e di disturbare i luoghi del potere: i politici devono capire cosa significa, toccare con mano la disabilità”.

Francamente da questi pochi elementi è difficile giudicare. Le motivazioni addotte dal padre per una scelta di così grande impatto emotivo (sugli elettori e sui potenti, certo, ma principalmente sulla ragazza) non sono peregrine. In tanti anni di battaglia per i diritti delle persone autistiche ho sperimentato come sia spesso necessario uscire allo scoperto anche in maniera eclatante per poter essere ascoltati. Ferraro ha scelto di mettere sua figlia in prima linea, ben sapendo di affrontare un rischio, ma convinto che il gioco valga la candela.

Per la verità le valutazioni e i commenti che ho letto sono di segno opposto, ma nessuno prova a fare dei distinguo. La parola “autistico”, infatti, sottointende un universo: i disturbi dello spettro autistico e quelli pervasivi dello sviluppo si manifestano in maniera complessa ed estremamente variegata. Ci sono autistici che non parlano e non scrivono, che stentano a riconoscere persino i genitori, che non posseggono le autonomie più elementari, e ci sono autistici (quelli cosiddetti di alto funzionamento o con la sindrome di Asperger) che hanno un’intelligenza normale, spesso con caratteristiche stupefacenti. Talvolta sono scrittori, matematici o docenti universitari.

Quasi tutti gli autistici, poi, se seguiti correttamente, tendono a progredire migliorando il loro rapporto con la società, taluni però, come le bimbe colpite dalla sindrome di Rett (che interessa solo le femmine), tendono a regredire comunque.

Tutti, comunque, presentano un disturbo pervasivo che comporta un’errata percezione degli stimoli sensoriali e spesso compromette i rapporti interpersonali, si potrebbe affermare che sempre la loro capacità di giudizio rispetto agli stimoli esterni (e, quindi, alle cose che accadono) è alterata. Insomma, Chiara potrebbe avere un’intelligenza spiccata e capacità notevoli, ma il suo rapporto con gli accadimenti dovrebbe sempre essere mediato.

Il fatto che non sia stata eletta, però, è ininfluente sulla valutazione della scelta di candidarla e, quindi, di ritenerla idonea a ricoprire il ruolo di consigliere comunale senza risentirne in prima persona.

In effetti, in particolari circostanze e su specifici argomenti la capacità di giudizio di Chiara potrebbe essere serena ed equilibrata, anzi, persino eccellente e penetrante, in altre circostanze no: vale a dire potrebbe essere distorta da errate percezioni e da pregiudizi insiti nella sua patologia. Insomma, quello che non vorremmo mai da un politico anche se, purtroppo, l’esperienza ci insegna che spesso i politici agiscono in questo modo. Inoltre una caratteristica comune a tutti gli autistici è l’impossibilità o la difficoltà di “mettersi nella mente degli altri”, qualità indispensabile in un consesso assembleare.

Ma non è della “capacità” politica di Chiara che voglio parlare (ad esempio potrebbe non saper scrivere, cosa invece obbligatoria per i consiglieri comunali) bensì della scelta di usare un disabile in una campagna elettorale. Nella sostanza non sembrerebbe molto diverso dall’usare i disabili come testimonial, principalmente nelle campagne di stampa sui loro diritti. La differenza sta nel fatto che nell’agone politico l’handicap viene brandito contro gli altri e non sfruttato per sensibilizzare… e non si tratta di una differenza da poco.

C’è, poi, un altro rischio che è lo stesso che, chi si occupa di disabilità, avverte nell’uso “politicamente corretto” della parola “diversamente abili”. È un termine buonista e, per me, odioso. Noi tutti sappiamo che i nostri ragazzi hanno delle abilità, per taluni, poi, come negli Asperger, queste abilità sono straordinarie. Questo non toglie, però, che la loro vita sia un percorso ad ostacoli, quasi sempre insormontabili senza aiuti esterni. Nei confronti del vivere civile e della “normalità” sono handicappati a tutti gli effetti. Non solo non sono in grado di fare talune cose elementari, ma, se lasciati a se stessi, potrebbero finire in un mare di guai. Le loro stesse abilità potrebbero ritorcersi loro contro.

Quel “diversamente abili” è troppo spesso un lavacro delle coscienze: “In fondo le loro abilità le hanno – si dice la gente – e noi li rispettiamo”. Ma quello che serve è ben altro: chiamateli pure disabili o handicappati, perché questo sono, ma agite in loro favore, non siate indifferenti alla violenza che negli ultimi anni si sta compiendo contro di loro, quella che ha portato a depredare proprio le risorse per la disabilità.

Se è così per una parola, pensate cosa avrebbe potuto accadere con un autistico consigliere comunale: esaurito l’onere solidale di dargli il voto si sarà portati a credere di aver risolto i suoi problemi e, implicitamente, quelli dell’autismo in generale.

Tutte queste perplessità non vogliono, però, essere giudizi sulla scelta di Maurizio Ferraro che, oltre ad essere mio coetaneo, ha vissuto e vive un’esperienza simile alla mia e, quotidianamente, è costretto ad inventare la vita intorno a sua figlia e a lottare per darle un futuro che non sia un incubo. Del resto, per molti autistici, non è problematico trovarsi al centro dell’attenzione: mio figlio ha sempre vissuto con entusiasmo le rappresentazioni teatrali in cui era coinvolto o le proiezioni pubbliche dei film fatti su sua sceneggiatura. Altra cosa, però, sono le situazioni conflittuali o intricate a cui si espone chi fa politica. Fra l’altro non so se sia stato facile per il padre gestire la frustrazione di Chiara per la mancata elezione. Ma, evidentemente, su tutto questo Maurizio Ferraro avrà riflettuto giungendo ad una conclusione diversa da quella che avrei tratto io.

Claudio Bo

Presidente di Autismo Help Cuneo

 

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